Rapporto su LA BANALITÁ DEL MALE
tratto da EICHMANN IN JERUSALEM:
A REPORT ON THE BANALITY OF EVIL di HANNAH ARENDT
ideazione e riduzione scenica di Paola Bigatto
con Sandra Cavallini

Lo spettacolo si appoggia sui passi fondamentali de La banalità del male di Hannah Arendt,
fra le più lucide menti della filosofia mondiale del secolo scorso.

Il senso politico, sociale e didattico dell’adattamento teatrale è costituito sia dai contenuti storici e filosofici a cui si fa riferimento (gli stadi del criminale piano nazista, la progressiva scansione delle leggi razziali, l’insorgere del conflitto mondiale, il processo in Gerusalemme), sia dalla consapevolezza che la capacità di giudizio che ci distoglie dal commettere il male non deriva da una particolare cultura ma dalla capacità di pensare. Dove questa capacità è assente, là si trova la banalità del male.

“[…] Eichmann non capì mai quello che stava facendo. E non era uno stupido, era semplicemente senza idee, una cosa molto diversa dalla stupidità. E proprio quella mancanza di idee lo predisponeva a diventare uno dei maggiori criminali del suo tempo, perché la mancanza di idee, la lontananza dalla realtà, possono essere molto più pericolose di tutti quegli istinti malvagi che si crede siano innati nell’uomo. È stata questa la lezione del processo di Gerusalemme.” (La banalità del male – Hannah Arendt)

Rapporto su la BANALITÁ DEL MALE, con Sandra Cavallini, porta in scena l’amara e lucida riflessione della Arendt a partire dalle vicende storico politiche e di cronaca processuale: rifacendosi al titolo originale dell’opera, evoca e privilegia una dimensione di condivisa prima stesura ad alta voce, di quel resoconto-reportage del processo ad Eichmann in Gerusalemme, che divenne poi il noto saggio. “Nel ripercorrere le tappe che man mano esclusero gli ebrei dal vivere comune, l’inviata di un giornale americano cammina sul filo sottile che separa la razionalità (fatti, numeri) dall’incomprensibile.” GIORNALE DI BRESCIA Paola Carmignani

Hannah Arendt (1906 – 1975), filosofa, allieva di Heidegger e Jaspers, emigrata nel 1933 dalla Germania alla Francia, e da qui in America nel 1940, a causa delle persecuzioni razziali, dal 1941 ha insegnato nelle più prestigiose università americane, pubblicando alcuni tra i più importanti testi del Novecento sul rapporto tra etica e politica. Nel 1961 segue, come inviata del The New Yorker, il processo Eichmann a Gerusalemme: il resoconto esce prima sulle colonne del giornale nel 1963, quindi, sempre nello stesso anno, in volume. Esso susciterà una grande ondata di proteste e una accesa polemica soprattutto da parte della comunità ebraica internazionale, a causa della particolare lettura che la Arendt, ebrea e tedesca, dà al fenomeno dell’Olocausto e dell’antisemitismo in Germania.

Otto Adolf Eichmann (1906 – 1962) fu colui che, nei quadri organizzativi della Germania hitleriana, ebbe il ruolo di realizzare logisticamente la “soluzione finale”, cioè lo sterminio degli ebrei al fine di rendere i territori tedeschi judenrein. Sfuggito al processo di Norimberga, rifugiato in Argentina, venne catturato dal servizio segreto israeliano, processato a Gerusalemme e condannato a morte.

ARENDT AL PLURALE
progetto per una compagnia teatrale orizzontale

 

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